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Vinitaly: marketing del vino - cosa funziona davvero (e cosa no) per le piccole cantine italiane


Sto andando al Vinitaly. Come ogni anno. È un pellegrinaggio enologico, una sorta di Natale per il settore: treni pieni, hotel esauriti da settimane, gente che gira con il calice al collo come se fosse il badge dell’identità nazionale. E in effetti un po’ lo è: perché il vino in Italia non è solo una bevanda, è appartenenza, tradizione, racconto.

E come ogni anno, mi preparo a vedere di tutto. Dai piccoli produttori con gli occhi lucidi e le mani segnate dalla vigna, fino ai colossi con gli stand a due piani, le hostess come a una sfilata di alta moda e gli assaggiatori professionisti col naso immerso nel bicchiere che descrivono la loro esperienza con grandi paroloni.

Vinitaly marketing del vino

Il vino è una cosa seria. Il marketing del vino… non sempre

Il vino è storia, è lavoro, è pazienza. È la vigna che non guarda l’orologio, è il tempo che serve per aspettare il momento giusto. È la terra che dà e toglie. In Toscana lo sappiamo bene. E in Maremma ancora meglio. Qui non si improvvisa: si lavora, si lotta contro la siccità, si spera nella pioggia, si fa con quello che c’è. Si vinifica per vocazione.

Ma poi arriva il marketing. E lì succede qualcosa. Come se ci fosse la necessità di prendere un prodotto già profondo e vero, e gonfiarlo con parole in più, effetti speciali, storie che spesso non reggono il confronto con la realtà.

Descrizioni poetiche, etichette da gioielleria, storytelling da film premiato a Cannes. Il vino che “accarezza il palato con note di sottobosco e mineralità ”.

Ma chi lo capisce questo linguaggio?

La verità è che il vino lo bevono tutti. Ma il linguaggio del vino lo capiscono in pochi. E questo crea una frattura. Il marketing del vino dovrebbe unire, semplificare, tradurre. Invece, nel mondo del vino, spesso fa il contrario: esclude, allontana, complica.

Chi entra in una fiera o in un’enoteca dovrebbe sentirsi a casa. E invece si sente a disagio. Troppa terminologia, troppa ostentazione, troppa serietà. Come se per godersi un bicchiere ci fosse bisogno di una laurea in enologia comparata e una seduta di psicoanalisi sensoriale.

E allora uno prende la bottiglia che ha l’etichetta più simpatica. O quella che costa meno. O quella che gli ricorda le vacanze. Altro che “profilo organolettico”.

A chi parla il marketing del vino?

Bella domanda. Perché a volte sembra che parli… solo a sé stesso. O agli addetti ai lavori. O ai clienti giapponesi in visita organizzata. Ma il vino non è solo prodotto da vendere all’estero. È anche cultura quotidiana. È convivialità. È “che ci apriamo stasera con la carbonara?”. È famiglia. È aperitivo in terrazza. È festa in piazza.

Eppure, gran parte della comunicazione vinicola sembra voler impressionare più che raccontare. Sorprendere più che accogliere. Farsi notare più che farsi capire.

Piccoli produttori, fate attenzione (e fate meglio)

Se sei un piccolo produttore, soprattutto se vieni da zone come la Maremma – dove il lavoro vero ancora si sente, dove la vigna la tocchi e la vivi ogni giorno – allora hai un tesoro in mano. Ma per valorizzarlo non ti serve imitare le grandi aziende. Ti serve essere chi sei, nel modo più chiaro e coerente possibile.

Ecco qualche consiglio, che vale oro più del pass per il padiglione centrale:

1. Parla semplice e chiaro

Il tuo cliente ideale non è un critico, è una persona curiosa. Racconta il vino come lo racconteresti a cena con amici. Basta con i termini da manuale: usa parole vere, racconta aneddoti, spiega il tuo lavoro senza complicarlo.

2. Mostra, non dichiarare

Non dire che sei “autentico”. Fallo vedere. Mostra la tua vigna, i tuoi errori, la grandinata che ti ha distrutto metà raccolto. Fai storytelling, sì, ma sincero. Quello che non ha bisogno di effetti speciali.

3. Internet non è il male. È un alleato

Se non hai un sito web decente nel 2025, il problema non è il vino: è la tua visibilità. Cura la tua presenza online. Non serve essere ovunque, ma dove sei, devi esserci bene. Un sito semplice, con belle foto, un catalogo aggiornato e i contatti ben visibili. Stessa cosa per i social: non devi postare ogni giorno, ma ogni tanto sì. E con contenuti tuoi, non copiati.

4. Collabora con il tuo territorio

La Maremma è un brand. Un valore aggiunto. Lavora con chi fa olio, formaggi, ospitalità. Crea pacchetti, sinergie, eventi veri. Non solo open day con il buffet di plastica, ma esperienze che restano.

5. Non svenderti, ma nemmeno ti montare la testa

Il tuo vino è buono? Bene. Ma il cliente lo decide dopo averlo bevuto, non leggendo la brochure. Trova un prezzo giusto, spiega cosa c’è dietro quel costo. Educare al valore è il compito più nobile del marketing.

Il Vinitaly serve, ma solo se torni con le idee chiare

Andare a Vinitaly è utile, anche per i piccoli. Per guardare cosa fanno gli altri, per imparare, per stringere mani. Ma non bisogna lasciarsi abbagliare. Non è uno show da imitare. È un’occasione per capire dove va il settore. E per decidere, con testa e cuore, dove vuoi andare tu.

Io sto andando. E come ogni anno, guarderò, assaggerò, parlerò. Ma anche ascolterò. E proverò a scrivere qualcosa che serva a chi sta in vigna tutto l’anno, non solo a chi si aggira tra gli stand col badge al collo e la parlantina pronta.

Perché il vino è una cosa seria. Proprio per questo, ogni tanto, bisogna prenderlo un po’ meno sul serio.

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© 2023 - Marketing Antipatico - Marco Gasparri Consulente Marketing - (+39) 347 9729834 - info@marketingantipatico.com

25 anni di esperienza nell'ambito della consulenza marketing in tutto il centro Italia. Attivo in Toscana (Siena, Arezzo, Grosseto, Lucca, Livorno, Firenze), Umbria (Perugia, Terni), Lazio (Viterbo), Liguria (La Spezia). Altre info su: www.kalimero.it

 

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